Cosa è LifeHand 2

Un passo verso il futuro
Un passo verso il futuro

Un primo passo verso il futuro è stato fatto. E per di più è stato fatto in Italia dalla sinergia di Campus Biomedico di Roma, Università Cattolica-Policlinico Gemelli, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Istituto San Raffaele di Roma. Al programma hanno preso parte anche l’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e l’Istituto Imtek dell’università di Friburgo.
Una squadra di bioingegneri e medici che hanno portato allo sviluppo della prima mano bionica collegata al sistema nervoso centrale. In poche parole una “protesi intelligente”: LifeHand 2. Un dispositivo che, grazie alla sensibilità al tatto e alla capacità di dosare la forza la rende in tutto e per tutto “uguale” ad un vero arto. Questo è reso possibile dal collegamento tra cervello e protesi grazie a quattro elettrodi impiantati nei nervi ulnare e mediano del braccio e grazie ad una serie di algoritmi che consentono alla mano di parlare lo stesso linguaggio del cervello.

Come funziona

Lo stesso Campus biomedico sul proprio sito spiega infatti che il Progetto LifeHand 2 ha come scopo quello “di realizzare una mano bionica, capace di dialogare direttamente con il cervello, e in grado di restituire a soggetti amputati una funzionalità del tutto analoga a quella di una mano naturale, sia dal punto di vista delle sensazioni che della capacità di movimento e manipolazione degli oggetti. Durante la sperimentazione LifeHand 2 il soggetto sottoposto ai test, il danese Dennis Aabo Sørensen, è stato in grado di “sentire” gli oggetti toccati con la protesi, distinguendoli tra “duri”, “medi” e “morbidi”. Ha inoltre effettuato prese corrette nel 78 per cento dei casi. Tutti gli esperimenti venivano da lui eseguiti a occhi bendati e isolato acusticamente dal mondo esterno”.

Obiettivi

Gli obiettivi sono stati dunque raggiunti: il 36enne Soremsen, amputato della mano sinistra perché gravemente danneggiata da un petardo, è riuscito a distinguere la consistenza degli oggetti, riconoscerne dimensioni e forma e a dosare la forza da applicare alla presa. Non solo, la mano bionica consente anche di autocorreggere un errore nell’applicazione del livello di forza pressoria con tempi di reazione inferiori ai 100 millisecondi. O ancora, la capacità di gestire diversamente la dose di forza pressoria delle due parti sensoriate, le dita e il palmo. Tutti obiettivi che non sono più solo progetti da realizzare. Sono realtà.

LifeHand 1

Cosa cambia ripetto al LifeHand 1 del 2008? Anche allora furono impiantati nei nervi mediano e ulnare del paziente quattro elettrodi intraneurali, collegati alla protesi biomeccatronica CyberHand. Questo progetto, spiega ancora il team realizzatore, aveva l’obiettivo “unico” di effettuare tre movimenti base (pugno, pinza e contrapposizione pollice-indice) senza però la comunicazione dei dati sensoriali tra protesi e cervello. Quella comunicazione che ha dato al paziente danese la possibilità di riconoscere la consistenza degli oggetti, consentendo al sistema nervoso di valutare e scegliere la forza giusta da applicare per la presa.