Migrazioni e fake news

Migrazioni e fake news

La realtà distorta per diffondere false informazioni

di Maria Antonietta Mastrangelo

Dal Dossier Statistico Immigrazione 2017: l’immigrazione, rappresentata come principale causa di tutti i mali dell’Italia e dell’Europa. Il tentativo di arginare, bloccare i flussi migratori attraverso la costruzione di muri reali ed ideologici, a protezione del proprio status quo, trova terreno fertile nell’opinione pubblica, che sostiene e cavalca l’onda dell’attuale politica xeno-razzista.
Il ritorno ai regni: la difesa dei confini dal nemico “immigrazione”
Oramai in tutta Europa, così come in Italia il fenomeno migratorio è rappresentato in termini di allarmismo. A tale scopo si utilizzano metafore che risuonano ai nostri orecchi, come vere e proprie minacce: “flussi”, “pressione migratoria”, “ondate”, “marea”, così da rendere enfatico il racconto e le immagini degli sbarchi, percepite sempre di più, come avvenimenti pericolosi per la nostra stessa incolumità ed economicamente dannosi per la società.
In questa narrazione viene poi tatticamente, ripetuto in maniera quasi ossessiva, il binomio immigrazione-sicurezza, soprattutto avanzato in seguito alle diverse “primavere arabe” e in seguito ai conflitti armati avvenuti in Africa e in Medio Oriente,quasi fosse indispensabile ricordare che, il governo si sta attivando, in favore di una protezione per la sicurezza delle popolazioni autoctone, giustificando così la retorica dell’invasione.
Si tratta ovviamente, di una falsa rappresentazione, smentita non solo dai dati generali sulla presenza di cittadini non comunitari, documentati dalle più svariate ricerche svolte a livello nazionale ed europeo(non ultimo il costante contributo fornito dal Dossier Statistico Immigrazione, nel corso degli anni e già a partire dal 1991), ma anche e soprattutto, dalle cifre relative agli effettivi arrivi in Europa e nella stessa Italia.
Tanto per citare un esempio, nel 2015 anno significativo per il maggior numero di arrivi in Europa, secondo le stime dell’Unhcr nel vecchio continente arrivarono in totale 1.015.078 persone: lo 0,2% dell’intera popolazione dell’Ue.
Per quanto riguardò l’Italia il dato numerico più alto fu quello relativo al 2016: 181.436 migranti, pari allo 0,3% dell’intera popolazione.
E’ chiaro che con tali numeri, difficilmente si può parlare di “invasioni” o “esodi” (termine sovente usato con i primi sbarchi avvenuti con l’inizio della crisi migratoria a partire dal 2013).
Tuttavia questo è quanto viene narrato e trova alimento pur non avendo reale fondamento, determinando effetti persino a livello politico. Ma di fatto, la percezione generale ignora i fatti e si allinea piuttosto, a quanto viene trasmesso dal punto di vista della comunicazione, tanto è vero che in base alla relazione finale della Commissione Jo Cox (La piramide dell’odio, Camera dei Deputati, Roma, 2017), gli italiani stimano la presenza di migranti per il 30% della popolazione, contro l’8% reale.
In realtà la narrazione della crisi va ben oltre, integrando il significato proprio del termine “mistificazione”, ovvero la distorsione della verità e realtà dei fatti, che ha come effetto la diffusione di opinioni erronee il cui scopo è quello di trarre vantaggio dalla credulità altrui. (Treccani, www.treccani.it/vocabolario).
L’effetto che ne consegue dovuto alla distorsione del dato numerico, non è solo la costruzione della così detta “invasione percepita”, ma contemporaneamente, si sfrutta la credulità dell’opinione pubblica, per celare la vera crisi, che riguarda l’intero sistema di accoglienza e protezione,vale a dire l’incapacità delle strutture statali di rispondere alle esigenze e ai bisogni di un limitato numero di persone che, come giusto ricordare, sono titolari di diritti in quanto tali, prima del riconoscimento eventuale di uno status protetto.
Così quello che si crea ad hoc, concerne nel sostituire questa reale crisi del sistema accoglienza, con la configurazione di una immaginaria crisi migratoria, infondata sul piano quantitativo. In breve: la crisi esiste determinata però non da una inesistente “invasione” di migranti, bensì dall’altrettanto inesistente o quasi, organizzazione di ricezione da parte delle istituzioni statali e dall’assenza di politiche mirate a costruire le premesse di una società accogliente e coesa.
Inoltre costruire il dibattito pubblico, volto a “fronteggiare” la crisi migratoria e di risposta ad una fantasiosa minaccia di invasione, rivista nelle sue diverse sfaccettature e incredibili racconti, consente di evitare la discussione relativi agli aspetti di esclusione e discriminazione etnica, religiosa, nazionale e sulle profonde radici che le migrazioni di persone hanno nella crescita delle disuguaglianze a livello globale, finanche nella storia del colonialismo europeo.
Insomma, la crisi migratoria cela in sé una crisi ben diversa, più grave e reale, ossia quella della capacità dei nostri paesi di attenersi ai principi e valori di fondo, come l’uguaglianza, i diritti fondamentali, il rifiuto del razzismo.
Gli argomenti xeno razzisti nei discorsi politici
Purtroppo la maggior parte dei discorsi politici realizzati a varie latitudini del continente europeo, trovano sostentamento da ideologie di stampo xeno razzista, circa il fenomeno migratorio.
In realtà è emerso che tali discorsi non sono solo sostenuti all’interno dei partiti politici e movimenti di estrema destra, ma anche dai così detti partiti di centro e in taluni casi anche in quelli di sinistra.
Spesso tali partiti sono quelli che si trovano a governare i diversi paesi; i governi di numerosi paesi dell’Unione europea hanno lanciato massicce campagne per rendere chiaro che i migranti non sono i benvenuti sul loro territorio (questo è il caso dei paesi dell’Est facenti parte del gruppo Visegràd, come Estonia, Polonia, Lituania, Ungheria).
Altri hanno seguito una linea per così dire più “soft”, facendo appello alla differenza che intercorre tra rifugiati e   “migranti economici”, una definizione che di per sé implica che si tratti di migrazione scelta, non forzata, anche quando la scelta si riduce in realtà, a quella tra la certezza di morire per fame e il rischio di morire nel viaggio.
Altra costante associazione che si fa a livello politico è quella tra migranti soprattutto musulmani e terrorismo, entrato a far parte in modo radicato dell’immaginario comune, come comune è l’uso nel dibattito politico del termine “immigrati illegali” o nel caso italiano del termine “clandestino”.Nella fattispecie dei sopracitati termini, si può affermare che nell’ordinamento giuridico si tratta di definizioni prive di qualsiasi significato tecnico-giuridico (illegali possono essere i comportamenti, non le persone e clandestino è una definizione sconosciuta alla nostra legislazione).
Ovviamente si tratta di terminologie di grande efficacia per criminalizzare indiscriminatamente i migranti per il semplice fatto di essere tali, senza alcun riferimento al loro agire concreto.
Altro aspetto è anche quello da dedicare al ruolo dei media, tradizionali e  “social network” e delle fake news, che contribuiscono e non poco ad alimentare attraverso i loro discorsi d’odio in rete, l’opinione pubblica, fomentando ad agire per il bene della nazione, esprimendo forme di razzismo finanche di xenofobia,che sovente si traducono in vere e proprie propagande diffuse online.
L’hate speechè un fenomeno molto diffuso conosciuto a livello giuridico, soprattutto in molti paesi del Nord Europa, ma che sta prendendo piede anche in Italia.
Sono stati molti i casi denunciati di hate speech dall’Unar presente in Italia (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), preposto alla vigilanza e denuncia di questi casi a livello nazionale, per non abbassare mai la guardia di fronte al verificarsi di certi accadimenti e per non dimenticare mai, cosa la storia ci ha insegnato di fronte alle disuguaglianze sociali e legate alla presunta appartenenza ad una razza che sia stata considerata, in seguito alla proclamazione delle leggi razziali del 1938 (abolite con la fine della seconda guerra mondiale) superiore o inferiore.
Uno degli aspetti in tal senso più preoccupanti che sta riemergendo prepotentemente del discorso xenofobico rilevato dal lavoro di Enar riguarda la teoria del nativismo.
Per nativismo s’intende quella pratica politica che, prescindendo dall’inquadramento teorico-ideologico, consiste nella priorità accordata agli interessi dei nativi del singolo Stato, rispetto sia all’immigrazione che agli obblighi internazionali.
Le forme possono essere svariate da “America first” negli Stati Uniti, alla Brexit nel Regno Unito, a “Prima gli italiani” in Italia, o “No Euro/No Unione europea” in molti degli Stati membri.
Ad unificare tali slogan sono il principio fondante della priorità a “noi” contro “loro”, nonché l’idea autoconsolatoria che, i problemi non nascano dalle nostre insufficienze, ma dalla più o meno consapevole negatività dell’azione altrui, non importa quale sia il capro espiatorio scelto.
Non si tratta certamente di una pratica nuova, ma fin dalle sue origini non si è mai bloccata nel suo processo di diffusione e auto alimentazione.
Nella fattispecie dell’ultimo decennio, vi è stato un picco in coincidenza con vere o presunte crisi migratorie, che rende questo ritorno in auge, un fenomeno molto preoccupante per tre diversi aspetti. Primo tra tutti la riemersione di tale ideologia (in realtà come pocanzi accennato mai abbandonata), costituisce la rappresentazione di una “rivisitazione” delle ideologie “terra e sangue” e di forme di razzismo violente e pericolose, non ultima la recrudescenza dell’antisemitismo e del neonazismo.
Secondariamente perché attraverso la riproposizione di tale ideologia, si vuole fornire una giustificazione culturale ed economica di facile successo, vale a dire l’appropriazione del concetto di diversità,fornendo spesso una affermazione di presunta superiorità rispetto agli “altri”, a difesa della pari dignità della propria cultura e tradizione.
Oltre a ciò si configura un mascheramento della volontà reale di esclusione, come forma di protezione degli interessi nazionali nell’economia e nel mercato del lavoro.
Terzo aspetto è rappresentato dalla promozione, finanche diffusione di una pericolosa ideologia di deriva razzista di un concetto di identità nazionale,che poi sostanzialmente non fa altro che riprodurre l’ideologia del razzismo nella sua forma più pura, fondato appunto sulle differenze biologiche della razza (che ovviamente non esistono).
Un esempio ne è quello italiano del surreale dibattito (rimasto ancora aperto, per la non approvazione almeno per il momento, di questo decreto legge), sull’introduzione dello ius soli temperato e dello ius culturae.
Immigrazione: fantasiose narrazioni e conseguenze concrete
Le narrazioni anti-immigrazione sono dunque costituite in gran parte di false rappresentazioni, fondate su pregiudizi, piuttosto che su dati reali e sostenute da ideologie prive di ogni fondamento scientifico; purtroppo però le conseguenze generate da tali convinzioni sono concrete.
I racconti negativi del fenomeno migratorio costruiscono spazi aperti a dibattiti politico elettorali apertamente xeno razzisti, che trovano sostegno, consenso e legittimazione.
Le conseguenze di ciò sono rappresentate dal fatto che, attraverso tali ideologie, si fanno in seguito scelte politiche caratterizzate da effetti di repressione, svalorizzazione e de umanizzazione dei migranti.
A loro volta, tali scelte alimentano la rappresentazione dell’immigrazione come un problema, in un circolo vizioso infinito.
Le diverse forme di protezione internazionale (asilo e protezione umanitaria), sono state ridotte ai minimi termini, fino all’approvazione in Italia del Decreto Salvini che, in materia di immigrazione e sicurezza, ha fissato le linee guida per una gestione dei flussi migratori, all’insegna della protezione del territorio nazionale,attraverso strumenti come l’abolizione delle diverse forme di protezione umanitaria, da fornire solo in casi eccezionali, altri interventi normativi per quanto attiene l’acquisizione della cittadinanza italiana, rafforzamenti militari e controlli alle frontiere e valichi montani, in prossimità dei confini francesi, sistemi di controllo elettronico alla verifica dei dati anagrafici del migrante, ed altri punti contenuti all’interno di questo documento, approvato in seno al Consiglio dei ministri, che di certo non ispirano all’accoglienza ed integrazione dei migranti, piuttosto alla loro esclusione.
Ma interventi politici sul generis sono stati avallati e adottati in via definitiva anche nel resto d’Europa, definendo dunque un clima di chiusura anziché di apertura verso le diversità culturali.
Si è infuso così, un senso di paura ed insicurezza che si respira nei diversi paesi europei, instillando un’ideologia dichiaratamente nazionalista e sovranista, in cui “gli altri” non sono i benvenuti, e il “noi” è ciò che conta. Un messaggio culturale chiaramente distorto,fatto passare come legittimo, di un’Europa che va protetta da una fantomatica invasione di migranti, infedeli (un pò come accadeva nel periodo storico delle crociate), estremisti islamici, disinteressati alla conoscenza della cultura del paese di accoglienza, poiché il loro unico interesse è lo sfruttamento economico e la diffusione di ideologie e radicalismi religiosi, minaccia costante della “nostra” cultura occidentale.
Un falso messaggio fatto passare come vero, plausibile, fondamentale per la sopravvivenza della nostra identità culturale. Di fatto si nega la volontà di accoglienza, coesione sociale, integrazione, conoscenza di culture diverse dalle nostre e contaminazioni che potrebbero essere funzionali, allo stesso processo di crescita sociale ma anche di evoluzione culturale.
E’ un processo che si blocca invece, attraverso muri reali ed ideologici, perché la diversità non è ben accetta, vista con sospetto, rifiutata a priori in nome della difesa di una inesistente “superiorità culturale, giuridica, sociale, nazionale, biologica”; mai nulla di queste asserzioni furono più false, in un mondo vissuto da esseri umani, tutti biologicamente uguali, ma così diversi, e questo è proprio il bello.
(Fonte: dal volume Dossier Statistico Immigrazione 2017 pp. 74-77 “Narrative politiche e politiche pubbliche in Europa”)