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Dal sangue si scopre chi è predisposto all'Alzheimer

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Alzheimer: un’analisi del sangue in futuro potrebbe permettere la diagnosi precoce prima della comparsa dei sintomi

Uno studio pubblicato su Nature Medicine

Nuove speranze per la diagnosi precoce dell’Alzheimer. Da uno studio pubblicato su Nature Medicine è emerso che un semplice test del sangue specifico è capace di prevedere, con circa tre anni di anticipo e un’accuratezza del 90%, lo sviluppo dell’Alzheimer in una persona. Una svolta epocale che, dato che non esistono cure efficaci ma solo palliative, potrebbe aiutare i ricercatori impegnati nella prevenzione di questo tipo di malattia neurodegenerativa a sviluppare terapie che ritardino la comparsa dei sintomi.

I biomarcatori dell’alzheimer nel sangue

Lo studio è stato condotto dal neurologo Howard Federoff del GUMC, il Georgetown University Medical Center di Washington DC. Federoff ed i suoi colleghi, tra cui il neuroscienziato Massimo Salvatore Fiandaca, hanno testato le capacità cognitive e di memoria dei partecipanti al test e prelevato loro dei campioni di sangue, circa una volta all’anno per cinque anni. Attraverso la spettrometria di massa è stato analizzato il plasma sanguigno di 53 partecipanti con deficit cognitivo lieve o morbo di Alzheimer, dei quali 18 hanno sviluppato sintomi nel corso della ricerca, e di altre 53 persone rimaste invece cognitivamente sane. Nel plasma è stato scoperto un cocktail di 10 fosfolipidi presenti a livelli costantemente bassi nel sangue, con una precisione pari a circa il 90%, della maggior parte delle persone che hanno avuto, o ha continuato a sviluppare, deterioramento cognitivo. Il team ha poi convalidato i risultati con una serie di test con ulteriori 41 partecipanti. Complessivamente nella ricerca sono state coinvolte 252 persone.

“Noi non sappiamo veramente quale sia la fonte delle dieci molecole,anche se sappiamo che sono generalmente presenti nelle membrane cellulari”, dice Federoff pur suggerendo che le concentrazioni di fosfolipidi possano in qualche modo riflettere la composizione delle membrane delle cellule neurali, e sottolinea: “Dobbiamo anche guardare a diverse fasce di età, ad un mix razziale più diversificato e sono necessari tempi di studio più lunghi“. Inoltre, secondo il Neurologo della Georgetown University, i risultati devono essere inoltre confermati in studi indipendenti più estesi.


Georgetown University – Diagnosi precoce dell’Alzheimer con un test del sangue

La ricerca sulla diagnosi precoce

La possibilità di poter effettuare test sul sangue rappresenta un vantaggio. Infatti altri gruppi sono alla ricerca di molecole presenti nel fluido spinale o di biomarcatori attraverso scansioni cerebrali con apparecchi di imaging diagnostico: tutti metodi maggiormente certo invasivi e non praticabili su larga scala. Inoltre, altre ricerche sulla presenza di biomarcatori dell’alzheimer nel sangue hanno il difetto di non prendere in considerazione un campione statistico significativo, ovvero considerano un numero limitato di persone sane e di altre affette da Alzheimer per confrontarne i campioni alla ricerca di differenze, e di non essere evolutive, ovvero di verificare le variazioni che intervengono nel tempo tra sani e malati.

Alzheimer, una diagnosi precoce attraverso un test del sangue: da sinistra, i ricercatori della Georgetown university Georgetown Dr. Howard J. Federoff, Amrita K. Cheema, professore associato di oncologia e co-direttore della metabolomica del GUMC ed il dottor Massimo S. Fiandaca, professore associato di neurologia: sono tra i co-inventori di un esame del sangue in grado di prevedere con una precisione del 90% se una persona sana svilupperà compromissione cognitiva lieve (MCI) o il morbo di Alzheimer entro tre anni.

Alla ricerca di una terapia efficace è importante anticipare la diagnosi

Non c’è ancora un trattamento efficace per la malattia di Alzheimer. Diverse terapie promettenti sono stati testate in studi clinici nel corso degli ultimi anni, ma nessuna ha dato risultati. Tuttavia i test sono stati sviluppati coinvolgendo persone che avevano già sviluppato i sintomi conclamati e molti neuroscienziati, a tale proposito, sottolineano che i potenziali benefici di un trattamento, in questo caso, possano rivelarsi vani, perché potrebbe essere impossibile fermare la malattia una volta che si è manifestata. L’Organizzazione mondiale della sanità ricorda che sono più di 35 milioni i malati di Alzheimer nel mondo, un numero destinato a raddoppiare ogni 20 anni.

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