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L'evoluzione e la storia dei vaccini

L'importanza dei vaccini nella storia
L'importanza dei vaccini nella storia
L’importanza dei vaccini nella storia

Vaccini e sviluppo economico e sociale.

L’evoluzione e la storia dei vaccini andrebbe raccontata per non dimenticare quanto il nostro benessere materiale sia elevato rispetto a quello dei nostri nonni, dei nonni di questi e di altre generazioni ancora precedenti. Nonostante tutte le demonizzazioni recenti sul loro utilizzo. La povertà non è solo quella materiale, ma è anche vivere in condizioni di cattiva salute, morire prima ancora di essere entrati nella vita adulta. In quasi tutti i paesi dell’occidente, con i diversi gradi di relatività, sono un ricordo del passato anche le forme di discriminazione tradizionali, contro le donne, i neri, le caste più basse e gli intoccabili, gli omosessuali. Le carestie sono molto meno frequenti che in passato, e a provocarle sono quasi invariabilmente guerre o altri fattori politici. Se adottiamo una prospettiva appena più ampia vediamo bene che la vita sta in realtà migliorando, e da molto molto tempo.  Intorno al 1750 qualcosa cambiò: siamo agli albori della prosperità di cui godiamo oggi. Di questa svolta sono state proposte molte spiegazioni diverse, ma è chiaro che l’Illuminismo europeo deve avervi avuto parte. Stanca di obbedire ciecamente alla chiesa e al trono, la gente iniziò a perseguire il proprio benessere e la propria felicità a modo suo. Si aprì a nuove idee. Partita in Gran Bretagna e di qui diffusasi in Olanda, negli Stati Uniti e quindi nel resto dell’Europa nord-occidentale, la rivoluzione industriale diede inizio, per la prima volta nella storia umana, a una crescita economica continua. Sono due gli aspetti della rivoluzione industriale di fondamentale rilievo. Il primo è costituito dalle conquiste nel campo della salute che la accompagnarono, cosicché i passi avanti nelle condizioni di vita si intrecciarono con i passi avanti nella longevità.  Il secondo aspetto è rappresentato dallo straordinario approfondirsi delle disuguaglianze globali, molte delle quali sono ancora con noi.

Le prime scoperte sui vaccini

Una delle vicende più interessanti, dal punto di vista delle conquiste in campo sanitario, è quella riguardante il vaiolo, una malattia oggi scomparsa ma un grave flagello per buona parte della storia umana. Prima del XVIII secolo, in Inghilterra, pochi sfuggivano al contagio, benché molti riuscissero comunque a sopravvivere. La scoperta della tecnica della vaccinazione come metodo per sconfiggere le malattie infettive impedendo il contagio dei soggetti sani, è di Edward Jenner, medico e ricercatore inglese. Il 14 Maggio 1796 egli innestò nel braccio di un bambino di 8 anni una piccola quantità di materiale purulento prelevato dalle ferite di una donna malata di Vaiuolo Vaccino, la forma di Vaiolo che colpiva i bovini e, in forma cutanea lieve, anche gli allevatori. Il bambino non ebbe nessun disturbo e in seguito Jenner dimostrò che il piccolo era diventato immune alla forma umana del Vaiolo. A questa pratica venne dato il nome di “vaccinazione”. Alla fine del 1796 Jenner inviò un articolo alla Royal Society a Londra, descrivendo 13 casi di soggetti immunizzati con il vaiolo bovino. La Royal Society rifiutò di pubblicare l’articolo. Jenner lo pubblicò successivamente a sue spese. Il metodo di Jennner ebbe tuttavia presto un’ampia diffusione ed in breve tempo più di 100.000 persone furono “vaccinate” in tutta Europa. Nel 1805 Napoleone impose la “vaccinazione” a tutte le sue truppe, ed un anno più tardi la vaccinazione fu estesa alla popolazione francese. Una tappa successiva di grande importanza per lo sviluppo dei Vaccini si ebbe grazie al Chimico francese Louis Pasteur, illustre ricercatore e studioso, che grazie alle sue scoperte e alla sua attività di ricerca è universalmente considerato il fondatore della moderna microbiologia. Egli si dedicò molto allo studio del Colera e del Carbonchio, ma ottenne risultati molto importanti soprattutto nello studio della Rabbia. Questa malattia non era molto diffusa, ma il suo decorso era terribile e la prognosi era sempre la morte. La ricerca era difficile in quanto l’agente infettivo dell’idrofobia era un virus, molto più piccolo dei batteri e pertanto invisibile ai microscopi dell’epoca.

 

 

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