Presidio dei lavoratori delle cooperative sociali a Montecitorio

Proteste nella cooperazione sociale

 

La pioggia battente non ha scoraggiato i lavoratori delle cooperative sociali, che,organizzati dall’Usb, si sono ritrovati nei giorni scorsi in un gigantesco presidio sotto Montecitorio, a Roma, per prospettare le loro condizioni di lavoro alle istituzioni. E l’incontro, con la presidente della commissione lavoro del Senato Nunzia Catalfo (M5S)  è avvenuto come riportato dal sito

Sul tavolo, alcune questioni scottanti per la vita dei lavoratori dei servizi sociali esternalizzati dai Comuni e affidati alle cooperative tramite appalto. Questioni molto diverse fra loro, ma legate da un unico filo, vale a dire quelle esternalizzazioni che sovente lasciano questi lavoratori senza difese per quanto riguarda le loro tutele. In particolare tuttavia, come ribadiscono dall’Usb di Firenze, la situazione degli educatori delle cooperative sociali rischia di trasformarsi in una grande macelleria sociale. “Con l’ultima legge di bilancio del governo Gentiloni – ricorda l’educatore fiorentino Paolo Vecchi, Usb – è stato messo in atto un “riordino” delle figura che lavorano in campo sociopedagogico. Un “riordino” che tuttavia non ha tenuto conto del fatto che chi finora ha lavorato come educatore nei servizi esternalizzati dei Comuni, ha cominciato a lavorare dal 1998, formandosi sul campo, tirando fuori competenze, abilità, esperienza. Ma non hanno il titolo”.

In sintesi, educatori “di fatto”, ma senza titolo. Ma a chi interessa il titolo? Alla legge, o meglio, alla legge licenziata con la manovra dell’ultimo Gentiloni, che chiede ai lavoratori quel titolo, la laurea, e, se non c’è, li impegna a procurarselo, pena la perdita del lavoro.

Eppure, questi lavoratori sono lavoratori delle origini e di frontiera. Molti di loro, come spiega Paolo Vecchi, hanno cominciato quando ancora i Comuni muovevano i primi passi, e l’operatore era chiamato a fronteggiare anche gravi patologie come l’autismo. Una vera e propria scuola, che formava gente via via sempre più preziosa e competente, di cui i Comuni non potevano più fare a meno per cercare di dare risposta a livello educativo a situazioni anche pesanti di disabilità, psichica e fisica. Anche perché, come testimonia il nostro educatore, con gli anni il disagio psicologico è cresciuto, di pari passi con il disagio sociale. Esternalizzazioni. vale la pena ricordarlo, attuate con ampio dispendio di risorse pubbliche, “dal momento che – come dicono alcuni lavoratori – il nostro lavoro arriva a costare anche 22 euro all’ora”. Anche se in tasca dei lavoratori ne arrivano 7 nette.

Ma sono i sette commi della legge contestata a mettere in ansia gli educatori. Perché, con questa richiesta del “titolo”, “ci obbligano a prendere 60 crediti universitari, i famosi Csu, che per noi significa una spesa di oltre mille euro. La formazione è importantissima – spiega Vecchi – ma la formazione è finalizzata al lavoro, per cui deve essere retribuita. Se si pone a carico nostro, è un’estorsione, in particolare se si considerano quegli educatori più fragili, come le madri”. In sintesi, ciò significa che questi lavoratori per mantenere un lavoro che già svolgono al meglio, devono pagare di tasca loro in termini di tempo e denaro. Tempo sottratto alla famiglia, ad esempio, soldi delle loro tasche. Tutto ciò per poter svolgere il loro lavoro. Che, finora hanno egregiamente svolto. Insomma la categoria di fatto e quella del titolo si contrappongono in maniera esemplare. La richiesta è dunque “un riconoscimento, non una sanatoria. La sanatoria si mette in campo quando esiste qualcosa di illecito. Ma noi non abbiamo fatto altro che il nostro lavoro, sempre, e adesso dicono che non siamo più in grado di farlo”.
All’incontro con Nunzia Cataldo, la presidente della commissione lavoro del Senato, sono stati toccati anche altri temi, dal momento che era presente tutto il variegato mondo dei lavoratori delle cooperative sociali. Uno fra questi, quello della sospensione dello stipendio che riguarda i lavori che conoscono “momenti di stasi” , come ad esempio, gli educatori che lavorano nelle scuole, o chi lavora in cicli produttivi che rimangono fermi per mesi. Si ferma il lavoro, si ferma lo stipendio. O il nodo dei contratti a tempo determinato, per cui non si aprono i paracaduti sociali. Intanto, concludono i lavoratori, “l’incontro con la presidente ci ha permesso di parlare e spiegare le nostre ragioni. Crediamo che siamo riusciti a spiegarle, almeno in buona parte. La cosa importante è che è in fase di organizzazione un prossimo appuntamento, da tenersi dopo Natale. Per cercare di trovare la “quadra” per disinnescare la grande angoscia che ha colpito i lavoratori del settore”. Infine, per quanto riguarda il discorso generale, pare di intuire che il governo si voglia occupare sia dei contratti a tempo determinato sia del part time ciclico e del reddito nelle more della sospensione.