Ciao don Franco Monterubbianesi, prete visionario

Fondò nel 1966 la Comunità di Capodarco, pioniere dell’accoglienza ai disabili. S’è spento martedì mattina a quasi 94 anni, dopo aver dedicato la vita agli ultimi

Va bene che l’immagine della “tonaca lisa” è suggestiva e abbastanza diffusa, però quella di don Franco bastava guardarla, quando la indossava. Mai fermo. Mai granché canonico. Una scrivania affondata sotto giornali, documenti, i suoi scritti, disordinato, “casinista”, cocciuto. Sempre, proprio sempre, appresso a Dio e agli ultimi, visionario, indomabile, burbero, buono quasi fin troppo. Don Franco Monterubbianesi se n’è andato stamattina, a novantatré anni, anzi tre giorni prima dei novantaquattro e raccontava spesso d’aver «fatto un patto con Dio a novant’anni, finisco un po’ di cose, dammi solo altri cinque anni». E il Padreterno ha voluto anticipare giusto un po’.​

Natale 1966, dieci anni dopo esser diventato sacerdote (l’8 agosto 1956), don Franco, con alcuni volontari, carica su un pulmino, che chissà come facesse solo a mettersi in moto, 13 disabili presi dagli istituti: «Se questi ragazzi escono e poi fallite, non tornano», viene avvisato il prete, che saluta e mette in moto quel pulmino. Vanno in una villa abbandonata, la rimettono a nuovo, nasce la “Comunità di Capodarco”, nella frazione più grande e popolosa di Fermo, nelle Marche, dove don Franco è nato il 30 maggio 1931. Arrivano altri disabili, famiglie, nascono bambini, quei 13 sono rimasti lì. Don Franco lo spiegherà qualche decennio dopo: in quegli anni «verso i disabili c’era un grande pietismo, ma nessuna legge e nessun diritto». L’8 agosto 1970 celebra il primo matrimonio proprio fra disabili. Poi arriveranno anche i primi obiettori di coscienza.

La fa facile, don Franco, solo che poi la fa. Si accoglie chiunque, chi ha disabilità e chi ha bisogno di qualsiasi aiuto, poveri, emarginati, chi è tossicodipendente: non solo, ma se ne rispettano le loro storie e i loro sogni. Intanto si fa comunità, proprio per dare meglio una mano a chi la chiede. Solo che don Franco non si ferma, non è roba per lui. Nel 1973 apre un’altra comunità a Roma, via via partono iniziative, come, giusto per dirne una, la cooperativa “Agricoltura Capodarco”. Per farla breve, oggi le comunità sono 13 in diverse regioni d’Italia e 4 all’estero (Albania, Camerun, Ecuador e Kosovo). Con 1.226 persone accolte, 626 addetti, 430 volontari e oltre 30mila prestazioni riabilitative erogate a 1.100 utenti.

Cinque anni fa il dolore più grande, nella Capitale: la comunità a Roma (poi anche a Grottaferrata) fallisce, viene commissariata, arriva la “liquidazione giudiziale”. «I commissari stanno sgombrando spietatamente la struttura di Roma – si sfoga don Franco con Avvenire -, non si può accettare. Possibile che questa gente venga cacciata? Ci aspettino». Perché si tratta di un fallimento, non di falliti: «L’idealità di Capodarco non può fallire, quindi va sostenuta. Dobbiamo reagire».
Sa d’esser stato «tradito», «in una società nella quale l’individualismo ha prevalso, lo ha fatto anche al nostro interno. Quando nel 2003 ho lasciato la presidenza di Roma ai giovani, dicendo che toccava a loro, sono stati superficiali, non hanno avuto visione. Smettendo d’essere uniti tutti su un’idealità più grande che unisce tutti nelle buone volontà, ecco, questo è stato il tradimento più grande».

Inevitabile chiederglielo, possibile che non sia ancora stanco? «No, no, no – risponde, sempre cinque anni fa -. La sera ci si… abbiocca, la mattina però si riprende la forza e si riprende il coraggio. E poi c’è il patto con Dio». Nemmeno ci pensa a mollare. Scriveva un anno fa: «Bisogna lavorare ora con i giovani, sino in fondo. Essi sono i veri e più emarginati di oggi, bisogna far recuperare la loro la loro idealità perduta».

A proposito di scrivere, negli ultimi anni, leggere le mail di don Franco era proverbialmente fare una specie di fioretto, lunghissime com’erano. Una delle ultime è del 25 giugno scorso: «Sono qui a Capodarco da un giorno e mezzo – scriveva -, finalmente tornato a 93 anni alla casa Papa Giovanni in cui cominciai nel ‘66 la grande avventura con i disabili giovani di tutto il territorio nazionale. Abbiamo così vissuto cose grandiose, qui e andando subito a Roma dal ’70».

La salma è esposta nella cappella della Comunità di Capodarco a Fermo, il funerale si celebrerà giovedì alle 15 in Duomo, sempre a Fermo. L’ultima sintesi, efficace, è del sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro: «Una vita, quella di don Franco, accanto ai veri ultimi, senza se e senza ma. E fino alla fine dei suoi giorni».

a cura di Pino Ciociolamartedì 27 maggio 2025
Fonte: www.avvenire.it