Determinati e mai depressi: sono i piloti di aerei, se dicono di esserlo rischiano di perdere la licenza. È quanto emerge da uno studio condotto dall’autore canadese Nathan Fielder per la serie tv The Rehearsal.
Determinati ma mai depressi. E se lo sono, non posso rivelarlo per non rischiare di perdere la licenza di volo. Essere determinato è un prerequisito fondamentale, quando ha il ruolo di comandante di un volo, ma lo è altrettanto quando fai il copilota. Come scrive ilpost.it, è un tema discusso nella seconda stagione di The Rehearsal, serie tv dell’autore comico canadese Nathan Fielder, in onda in queste settimane negli Stati Uniti. Una causa di diversi incidenti aerei, secondo le sue ricerche, è proprio l’incapacità del copilota di contraddire il comandante o dargli suggerimenti utili in caso di emergenza, per timore e riverenza. Per le sue ricerche Fielder ha consultato un esperto ed ex membro della National Transportation Safety Board, l’ente statunitense che indaga sugli incidenti aerei. Indipendentemente dalla fondatezza della tesi da cui parte, la serie ha attirato attenzioni verso un’importante questione di sicurezza discussa da anni nell’aviazione civile: la salute mentale dei piloti. Non è irrealistico che una difficoltà di comunicazione nelle relazioni interpersonali, incluse quelle in cabina di pilotaggio, possa dipendere da una generale e spesso comprovata ritrosia dei piloti a esprimere apertamente sentimenti ed emozioni, per resistenze culturali ma anche per ragioni molto pratiche. Diverse storie personali raccontate in anni recenti mostrano che alcuni piloti sono inibiti dal manifestare eventuali fragilità emotive e psicologiche. Tendono a non farlo perché il sospetto che siano depressi o abbiano altri disturbi psichici può causare la sospensione della licenza di volo e condizionare la loro possibilità di lavorare. L’attenzione pubblica alle condizioni della loro salute mentale è infatti molto cresciuta dopo i casi di incidenti provocati da suicidi dei piloti di linea, il più famigerato dei quali portò nel 2015 alla morte di 150 persone a bordo del volo Germanwings 9525 precipitato nelle Alpi francesi. Per quanto rari, gli incidenti hanno stimolato approcci molto cauti da parte delle autorità responsabili della sicurezza e della regolamentazione dei voli. Dopo l’incidente del volo Germanwings l’Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza aerea (EASA) ha emanato raccomandazioni specifiche – poi confluite in diversi regolamenti europei – sulla valutazione psicologica dell’equipaggio, sia in fase di selezione che di verifica dell’idoneità. I regolamenti danno in particolare grande centralità al ruolo dello psicologo dell’aviazione, responsabile di appositi programmi di sostegno. Attraverso questi programmi e in via strettamente confidenziale, un pilota può chiedere per sé o per un collega un aiuto per affrontare un disagio psicologico o un qualsiasi altro problema di salute mentale. Gli psicologi sono tenuti alla riservatezza ma allo stesso tempo, se ritengono che sia il caso, devono segnalare agli enti nazionali responsabili della sicurezza la necessità di una sospensione temporanea del pilota dai compiti di volo. Anche negli Stati Uniti la valutazione psicologica dei piloti può portare a una sospensione della licenza, peraltro di durata leggermente più lunga rispetto all’Europa e all’Australia, ha scritto di recente il New York Times. La Federal Aviation Administration (FAA), l’agenzia federale che si occupa della sicurezza e dei controlli relativi all’aviazione, vieta ai piloti di accedere in cabina di pilotaggio non appena segnalano di essere in terapia per sintomi di ansia o depressione, anche lievi. I piloti che ricevono una diagnosi di ansia o di depressione, e che cominciano una terapia a base di uno dei farmaci previsti, possono essere autorizzati a volare solo dopo una sospensione dall’attività di almeno sei mesi, se ritenuti idonei. Una proposta di legge mira a ridurre questo periodo di sospensione a due mesi, ma tutta la discussione sulla salute mentale tra i piloti di linea fa parte di un dibattito alquanto vivace, oggetto di grandi attenzioni mediatiche e strumentalizzazioni politiche. A gennaio, dopo un incidente tra un aereo di linea e un elicottero militare a Washington, il presidente Donald Trump accusò l’amministrazione del suo predecessore di essere responsabile di un abbassamento degli standard di valutazione psicologica dei piloti e dei controllori di volo. Dalle indagini successive sull’incidente non è emersa alcuna prova che la salute mentale sia stato un fattore pertinente. Tutte queste attenzioni, oltre al rischio di perdere il lavoro, rafforzano un contesto in cui i piloti non si sentono incentivati a condividere eventuali vulnerabilità psicologiche e a chiedere l’aiuto di cui avrebbero bisogno. Da un sondaggio anonimo condotto per uno studio del 2022 su oltre 3.500 piloti di linea statunitensi emerse che per paura di perdere la licenza il 56% di loro aveva evitato di chiedere assistenza sanitaria, di qualunque tipo, attraverso canali ufficiali. Per lo stesso motivo il 26% aveva omesso alcune informazioni durante i controlli sanitari di routine della Faa. Uno degli autori dello studio, il medico e professore di aviazione William R. Hoffman, scrisse su Scientific American che i piloti sono in una posizione complicata sotto l’aspetto psicologico. Devono infatti valutare sia i possibili benefici del chiedere aiuto, sia i costi professionali che rischiano di dovere sostenere per quella richiesta.
Fonte: Superabile.it
Photo: Superabile.it