Cannabis terapeutica di stato: distribuita solo in alcune regioni

Cannabis terapeutica

 

di Antonietta Mastrangelo

Solo tra il 2014 e il 2016 il consumo di cannabis medica è passato da 20 chilogrammi a oltre cento all’anno. Migliaia di persone oggi in Italia hanno visto migliorare la propria vita, grazie alla cannabis terapeutica, anche se la distribuzione non è ancora a livello nazionale.

Due obiettivi possibili per consentire una equa distribuzione a livello nazionale
In Italia la possibilità di ricorrere legalmente a farmaci cannabinoidi esiste dall’aprile del 2007.

In questi dieci anni i pazienti hanno potuto usare però, solo i prodotti della Bedrocan, e in alcuni casi c’è chi ha dovuto pagare fino a 70 euro al grammo per la cannabis olandese,un prezzo proibitivo per la maggior parte dei malati.

Per la prima volta, dal gennaio 2017 è possibile invece acquistare anche la Fm2, a costi accessibili, ossia la cannabis prodotta nello stabilimento militare di Firenze, l’unico autorizzato dal governo a coltivarla.Si tratta di un’iniziativa ambiziosa che ha suscitato attenzione anche all’estero.L’Italia è infatti il primo paese in Europa a tentare un approccio di tipo industriale in questo settore,perché l’intera filiera è sotto il controllo dell’agenzia italiana del farmaco (Aifa), che registra e regolamenta le attività in collaborazione con i ministeri della difesa e della salute.

L’operazione in tal senso si pone due obiettivi:primo tra tutti quello di allinearsi aglistudi scientificisui benefici terapeutici della sostanza e in seconda istanza, realizzare un apparato produttivo in grado di evitare i costi dell’importazione (la cannabis medica italiana costa circa 15 euro al grammo, quella olandese tra i 18 e i 22) e garantire che la materia prima sia sempre disponibile.  Malgrado l’entusiasmo iniziale però, il progetto si è scontrato con una realtà particolarmente complessa e in effetti stenta a decollare. Questo perché si sono interposti alcuni ostacoli che non hanno permesso di farlo e sono essenzialmente tre:

  • il diverso gradimento dei pazienti, nonché la diversificata consistenza nel suo utilizzo; presso alcune Teraphy room sparse nelle diverse regioni d’Italia, la cannabis arriva troppo macinata e questo comporta dei problemi per chi la assume tramite vaporizzazione, provocando effetti collaterali dopo qualche ora, come ad esempio la nausea.
  • l’efficacia del prodotto; in base ad alcune analisi di laboratorio condotte sui principali prodotti a base di cannabis attualmente distribuiti a scopi terapeutici, si riscontra che l’Fm2 (prodotto presso lo Stabilimento militare di Firenze), per i suoi composti e quantità riscontrate (l’unico a rispettare i valori imposti per legge), risulta essere meno efficace rispetto ai prodotti a base di cannabis olandesi, all’interno dei quali in effetti si riscontrano valori Thc (delta-9-tetraidrocannabinolo)leggermente superiori alla media consentita per legge, ma forse per questo più efficace, secondo quanto riportato da alcuni pazienti che ne fanno uso, intervistati a risvolto dell’indagine.

I prodotti olandesi inoltre, sembrerebbero svolgere efficacemente la loro funzione, soprattutto per quanto concerne la cura di alcune sindromi come l’anoressia nervosa, stimolando il senso dell’appetito in quei soggetti affetti dalla malattia, che normalmente non lo provano.

  • il punto di vista clinico; risulta necessario tuttavia prendere in considerazione che, l’interazione di tutti gli elementi e non solo l’azione di Thc e cannabiolo (Cbc), sono da considerarsi gli eccipienti principali a conferire la sua efficacia terapeutica. E’ piuttosto l’insieme di fattori che influisce in modo diverso, a seconda della patologia da cui è affetto il paziente, dal tipo di coltivazione e successivamente dalle diverse preparazioni galeniche create nei laboratori delle farmacie.

Del resto, se è vero che il primo impatto con l’Fm2per alcuni non è stato positivo, va detto invece che per altri, soprattutto quelli che l’hanno assunta sotto forma di olio, è stato più che soddisfacente. Che il gradimento dell’Fm2 sia soggetto a interpretazioni opposte, lo sa bene anche il colonnello Antonio Medica, direttore dello stabilimento di Firenze.

La struttura occupa un’area di circa 55mila metri quadrati nel quartiere di Rifredi(Firenze) ed è protetta da alte mura bianche. Il colonnello spiega che la cannabis è una sostanza dalle potenzialità terapeutiche straordinarie, ma bisogna tenere in considerazione il fatto che si tratta di un fitocomplesso in cui, a differenza di farmaci classici dotatidi un singolo principio attivo, agiscono circa 500 tra cannabinoidi, terpeni, clorofille e alcaloidi, alcuni dei quali, presentano attività che non sono ancora del tutto chiare.

L’obiettivo prioritario: una copertura del fabbisogno nazionale, stimato in trecento chilogrammi all’anno

La domanda più frequente, soprattutto avallata dai pazienti più critici è se l’Fm2 non sarebbe potuto essere un prodotto completo sin da subito. A questa domanda la risposta che perviene dal responsabile di questo importante progetto italiano nella realizzazione e distribuzione di cannabis terapeutica è che, non si prospettava di uscire sul mercato con caratteristiche già perfette del prodottoe in tal senso, le critiche sono sempre ben accette per un successivo miglioramento del farmaco in questione. Inoltre il direttore dello stabilimento prosegue affermando che è consapevole che il margine di miglioramento è ancora ampio.

A tal proposito sottolinea  che la scelta di macinare le infiorescenze, per esempio, è stata dettata dalla volontà di omogeneizzare i princìpi attivi,ma l’equipe di studio e lavoro sul prodotto è ben consapevole dei suoi limiti e che si deve trovare una formulazione che sia più efficace. Per questo sono già operativi. Inoltre il team di ricercatori sta anche lavorando per trovare soluzioni di estrazioni più pratiche, per diversificare la loro offerta.  Per esempio, presto comincerà una coltivazione sperimentale il cui obiettivo è quello di ottenere un prodotto privo di cbd e con un contenuto maggiore di thc. Il direttore Medica si riferisce all’Fm19, una varietà simile al Bedocran: per produrla sarà recuperata un’area di 600 metri quadrati sulle colline di Rifredi, in un capannone dove trent’anni fa si fabbricava sapone. L’investimento iniziale sul progetto italiano è stato di un milione di euro,sufficienti per coprire i costi per la produzione dei primi mille chilogrammi di cannabis.  “L’obiettivo” era  quello di raggiungere un regime produttivo in grado di assicurare cento chilogrammi entro la fine del 2017 (sperando nella riuscita dell’obiettivo nel frattempo) e arrivare un giorno a coprire l’intero fabbisogno nazionale, attualmente stimato in circa trecento chilogrammi all’anno.

La scarsa informazione sui componenti attivi della cannabis e le farmacie

Oltre alle critiche dei consumatori, l’Fm2 soffre anche di alcuni problemi legati sia alla mancanza di comunicazione per farla conoscere ai medici, sia alla distribuzione nelle farmacie.

I medici che la conoscono e la prescrivono infatti sono pochissimi e questo rende difficoltosa la sua distribuzione capillare sul territorio di riferimento, afferma Marco Ternelli, proprietario di una farmacia a Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, e responsabile di farmagalenica.it.

Rispetto ai farmaci tradizionali, la cannabis ha tempi di scadenza molto più brevi e non può essere lasciata nei magazzini troppo a lungo, spiega. E aggiunge: “Il guaio è che le prescrizioni sono così poche che non creano mercato, e nel caveau dello stabilimento rimangono quantità così ingenti che poi arrivano ai pazienti con scadenze troppo ravvicinate,a volte di un solo mese, come sta accadendo con questo primo stock”. Secondo Ternelli, l’Fm2 è stata penalizzata anche da problemi di distribuzione perché in seguito alle ordinazioni trascorre troppo tempo. Tempi decisamente troppo lunghi,soprattutto se si considera che nelle terapie a base di farmaci cannabinoidi la continuità terapeutica è imprescindibile. Il basso tasso di prescrizione rientra in un contesto nazionale in cui la cannabis è un’opzione terapeutica a cui si ricorre ancora poco rispetto ad altri paesi,complice anche una legge che ne prevede l’uso, solo nel caso in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei, farmaci cortisonici o oppioidi si riveli inefficace. Tenere conto fedelmente delle indicazioni terapeutiche e posologiche del farmaco è fondamentale ed è responsabilità dei medici. Si tratta a tal proposito di un lavoro complesso, che richiede molto tempo.  Per questo sonomolti gli specialisti che  non vogliono farlo,afferma Poliex direttore del reparto di terapia del dolore dell’ospedale Santa Chiara di Pisa e presidente della Società italiana ricerca cannabis.

Questo perché prima di tutto è importante trovare il dosaggio adatto per ogni singolopaziente,che viene poi seguito nel tempo, per vedere se e come risponde alla terapia. Inoltre secondo Poli esiste anche un motivo scientifico dietro la ritrosia dei medici a prescrivere cannabis per scopi terapeutici, ossia la scarsa conoscenza del componente attivo;ci sono infatti più studi sulla cannabis che sul paracetamolo, ma sono perlopiù studi generici, che non contribuiscono ad ampliare la conoscenza dei singoli princìpi attivi. Quando si parla di cannabis medica, infatti, si parla di una sostanza conforme a tutti i più alti standard farmaceutici europei, e non della classica cannabis di strada che può contenere di tutto, afferma Poli.

L’assenza di chiarezza crea un clima di diffidenza, a cui contribuisce in larga parte, un discorso pubblico avvelenato da posizioni ideologiche e poco informate.  Molti medici italiani non conoscono le potenzialità terapeutiche della cannabis e quindi non la prescrivono,perché in generale, la mentalità è ancora molto arretrata, afferma Daniele Conti, responsabile area progetti dell’Associazione malati reumaticiEmilia-Romagna.

A ciò si aggiunge un atteggiamento ambiguo da parte dello stato nei confronti delle farmacie. Il caso più paradossale e al tempo stesso più emblematico, è senza dubbio quello della multa di oltre ottomila euro inflitta lo scorso maggio a sei farmacie che preparavano, tra gli altri, farmaci a base di cannabis. La colpa di queste farmacie sarebbe da imputare, secondo il Ministero della Salute, al fatto di essere presenti su motori di ricerca come Let’s Weed o Cercagalenico (dove si trovano le farmacie che effettuano preparazioni a base di cannabis) e per questo di aver violato il divieto di propaganda diretta e indiretta di sostanze stupefacenti.In effetti, basta fare un giro sul web o parlare con qualche malato per capire quanta confusione ci sia sulla cannabis terapeutica. Per questo i malati diventano spesso attivisti a sostegno delle proprie cause, ossia il diritto a poter utilizzare un prodotto legalmente previsto per legge, anche in Italia.

Disparità di trattamento

Un’ulteriore criticità è legata al differente trattamento che i malati possono ricevere anche vivendo a distanza di pochi chilometri l’uno dall’altro. Dipende tutto dalla regione in cui abitano, visto che molte non prevedono rimborsi a carico del servizio sanitario regionale.Sono molti i pazienti infatti costretti a spendere somme ingenti di denaro per l’acquisto della cannabis terapeutica,  poiché in alcune regioni non è prevista la prescrizione medica su impegnativa con pagamento del normale ticket, o addirittura in esenzione ( almeno per patologia ndr).  Oggi la cannabis terapeutica è a carico del servizio sanitario nazionale solo in quattordici regioni.Quindi, dal momento che in questo tipo di terapie assumerla quotidianamente è fondamentale, per farlo molti pazienti sono costretti a pagare cifre consistenti. A guardare il quadro nel suo complesso, quello che si coglie è che, per la prima volta in Italia lo stato produce un prodotto a base di cannabis che ha il potenziale per aiutare molte persone, facendolo pagare meno rispetto a quello comprato all’estero.  Ma le istituzioni finora non hanno valutato tutte le criticità e altre ne hanno sottovalutate, tanto da impedire alla cannabis medica di diffondersi come opzione terapeutica.  Risulta dunque quanto mai necessario affrontare il dibattito in maniera più obiettiva e senza contrapposizioni ideologiche, facendo leva sulle conoscenze che associazioni e malati già hanno in questo campo, un aspetto questo che gioverebbe a tutti. Specialmente ai malati