Liberation Prison Project: Percorsi di consapevolezza nelle carceri

Liberation Prison Project grazie al contributo dell’8xmille dell’Unione Buddhista Italiana, e Maria Vaghi, segretaria generale di LPP Italia dice: “In carcere portiamo percorsi di consapevolezza e introduzione alla meditazione, partendo dalla convinzione che sia possibile lavorare sul piano dell’introspezione e del miglioramento di sé.  Ci ispiriamo alla filosofia buddhista, ma seguiamo un approccio completamente laico, basato sull’osservazione delle emozioni e della mente, partendo dall’attenzione al respiro“.

LLP nasce nel 1996 negli Stati Uniti per iniziativa della monaca buddhista Robina Courtin, che ha fatto visita in vari istituti penitenziari dopo aver intrattenuto per un certo periodo una corrispondenza con un uomo detenuto. Poi a poco e poco il progetto è maturato e nel 2006 è sbarcato per la prima volta in Italia.

Per chi è in carcere l’adesione ai gruppi di consapevolezza e meditazione è totalmente volontaria. Ci si arriva per passaparola o su suggerimento dei funzionari giuridico-pedagogici, quelli che normalmente vengono chiamati educatori. Per partecipare ai gruppi è necessaria una conoscenza base della lingua italiana e soprattutto bisogna trovarsi in una fase di relativo equilibrio: le persone con problemi psichiatrici e quelle che sono ancora nella prima fase di disintossicazione da dipendenza da sostanze rischiano di non trarre benefici dalla pratica e, anzi, di potenziare il proprio stato di irrequietezza.

Per Liberation Prison Project, però, lavorare con le persone detenute significa anche lavorare a favore delle vittime. “Sono proprio le vittime il nostro primo focus – dice la segretaria –. Chi è in carcere prima o poi farà ritorno in società. Vediamo spesso che il beneficio che traggono dai percorsi di consapevolezza e meditazione non è solo personale, ma anche dei familiari e delle persone che circondano l’autore di reato“. Perché spesso chi compie un reato ha anche una famiglia, che paga a sua volta il prezzo della colpa e sono in molti a soffrire del fatto di non poter essere di aiuto ai propri familiari, soprattutto ai figli. A volte però anche la pratica della meditazione più aiutare a stare più vicini ai propri cari.” Come è successo a Mario (nome di fantasia): un giorno che suo figlio era agitato, è stato proprio lui a insegnargli a riconquistare la calma. Come? Concentrandosi insieme sul ritmo del respiro.

 

 

 

Photo: Shobha.it