Disabilità e vacanze estive: una testimonianza

L’offerta delle Asl di soggiorni estivi per le persone con disabilità: un’intervista con il Dottor Francesco Gangere per approfondire questo tema scottante, soprattutto nel periodo delle vacanze estive.

Quale estate per la disabilità? La sanità pubblica si occupa della disabilità attraverso i diversi servizi offerti in varie forme agli utenti e alle loro famiglie.

Per quanto nel tempo sia stato rivoluzionato l’approccio terapeutico e sia cambiata la mentalità di molti, la disabilità è ancora oggetto di stigma e discriminazione più o meno palesi.

L’estate per le persone con disabilità e le loro famiglie è un periodo critico da gestire: quante volte sui giornali appaiono notizie sul rifiuto di ospitalità da parte di strutture turistiche o di denuncia casi di dileggio, intolleranza o, addirittura, aperta discriminazione da parte di altri turisti o viaggiatori nei confronti di persone con disabilità, in particolare se viaggiano in gruppo.

Eppure, come per tutti, anche per le persone con disabilità il tempo libero e le vacanze estive sono occasione di benessere, di svago, di crescita culturale, relazionale e sociale.

Come sono intervenuti e intervengono i servizi per la disabilità per dare risposta a questa esigenza, che, a ben vedere, è un vero e proprio diritto soggettivo?

Lo abbiamo chiesto al Dottor Francesco Gangere (nella foto), fino al 2017 Responsabile Disabili Adulti del Distretto 3, ora 2, della ASL Roma 1 (ex ASL Rm A) e Coordinatore dei soggiorni estivi per la stessa Azienda Sanitaria Locale romana, attualmente in pensione.

Sociale: Dottor Gangere, in qualità di specialista qual è la sua esperienza nell’organizzazione dei soggiorni estivi per persone con disabilità mentale

Gangere: Ho lavorato per molti anni con vari incarichi in un servizio per disabili della ASL RM 1. In questo ambito sono stato per lungo tempo coordinatore dei soggiorni estivi aziendali. Si tratta di una tipologia di progetto d’intervento tanto complessa quanto importante sul piano organizzativo e riabilitativo per gli utenti, anche se, spesso, è stata percepita esclusivamente come una “vacanza” sia degli utenti che degli operatori. Un altro fattore importante per il successo di questa attività, poi, si rappresenta dall’integrazione tra gli attori che intervengono nella sua realizzazione: servizi pubblici e terzo settore.

S.: Come nascono i soggiorni estivi

G.: Fin dagli albori di questa attività, nei primi anni ’80 del secolo scorso, l’organizzazione dei soggiorni estivi era gestita dal Comune di Roma in collaborazione con quelle che, allora, erano le Unità Sanitarie Locale che inizialmente rendeva disponibile per l’attività personale qualificato. Ciò ha rappresentato un primo abbozzo di servizio integrato che dava risposta, in un’ottica globale, ai bisogni dell’utente e della sua famiglia.

A partire dall’iniziale fase di sperimentazione, gradualmente, si rafforzò l‘integrazione tra l‘Asl e il Comune, in particolare con il Dipartimento V, che, a livello centrale, è il soggetto che, ogni anno, con un apposito Disciplinare, fornisce le linee guida per i soggiorni.

In questo modo, i soggiorni estivi hanno acquisito, nel corso degli anni, una importanza sempre più rilevante nell’ambito delle attività socio-sanitarie della Asl, caratterizzandosi come intervento terapeutico-riabilitativo e strumento per approfondire la conoscenza dell’utente e la verifica del trattamento in corso. Gli operatori, infatti, traggono preziose indicazioni sul trattamento in atto in continuità terapeutica con il progetto globale di intervento.

S.: Quindi, non solo una “vacanza” organizzata?

G.: Sì, è evidentemente riduttivo, non solo nella mia esperienza, paragonare il soggiorno ad una “vacanza“. Si tratta, infatti, di un intervento per nulla improvvisato che richiedeva, e richiede, di un lungo ed elaborato lavoro di programmazione che coordinava, insieme, esigenze dell‘utenza e della famiglia ed obiettivi terapeutici e il bilancio economico che veniva reso disponibile.

Organizzare un soggiorno comportava, ieri come oggi, saper leggere le caratteristiche individuali dell’utente in modo da costituire dei gruppi omogenei, individuare strutture e luoghi idonei secondo le necessitàalberghi, villaggi, agriturismi – e le risorse del gruppo e, infine, collaborare con le cooperative che coordinano gli operatori che parteciperanno al soggiorno affinché l’intervento potesse essere il più possibile condiviso ed efficace.

S.: Quindi, si tratta di un intervento che coinvolgeva, a diversi, livelli, differenti attori?

G.: Certamente. Se proviamo a riassumere i diversi soggetti citati fino a questo momento abbiamo, a partire dalle figure al centro dell’intervento, prima di tutto l’utente, quindi la famiglia, poi la Asl, successivamente il Comune, infine, la Cooperativa sociale e la Struttura scelta per l’ospitalità. Risulta evidente che più si riesce a compiere un lavoro integrato, tanto più il soggiorno può assumere un ruolo trasformativo e riabilitativo.

Torno a ripete, perché sia chiaro, che il Soggiorno Estivo è stato ed è un momento particolarmente significativo e di verifica nell’iter terapeutico riabilitativo dei soggetti disabili. In un contesto di vacanza e divertimento è possibile osservare i comportamenti, incidere su abitudini consolidate, offrire opportunità di verifica di un progetto di crescita verso la socializzazione e l’autonomia.

La programmazione, del resto, deve tenere conto di tutte le opportunità terapeutiche che un soggiorno estivo può dare e deve poter contare su una fase organizzativa, tecnico amministrativa, attenta e precisa, che consenta di individuare tutti gli strumenti necessari per realizzare anche i progetti più ambiziosi.

Insomma, organizzare soggiorni estivi validi ed efficaci significava coniugare insieme il lavoro organizzativo con le esigenze terapeutiche di ogni singolo utente coinvolto. Pertanto, nella fase di preparazione occorreva riuscire a coordinare i bisogni dell’utente e della famiglia con gli obiettivi terapeutici e con il bilancio economico.

S.: nella descrizione che fa della fase “organizzativa”, il bilancio sembra essere una specie di “spada di Damocle” che fa sentire tutto il suo peso nella ricerca del giusto equilibrio tra la fattibilità dell’intervento e la sua piena effettiva efficacia sul piano terapeutico?

G.: È ovvio. Il Comune, del resto, da una parte assegna i fondi da spendere limitatamente ai costi degli utenti, ma, dall’altra, da facoltà alla A.S.L., cito letteralmente, di “Ricercare e sperimentare, in base agli specifici bisogni dei propri utenti, attività e forme d’inserimento più adeguate“. Il primo atto nella organizzazione dei soggiorni è, quindi, proprio stilare un bilancio preventivo, che tenga conto dello stanziamento del Comune per gli utenti e della ASL per i costi degli operatori e l’assistenza. È a partire da lì che si formula la cornice economica nella quale muoversi per individuare le soluzioni più idonee. Non si scappa.

S.: Come veniva impostata, a partire da questo primo passo, l’attività organizzativa?

G.: Sintetizzo la complessità. I punti fondamentali sui quali si doveva impostare la progettazione dei soggiorni, in un’ottica d’integrazione, erano: le strutture, i gruppi, gli operatori ed i responsabili.

S.: Andiamo più in profondità. Quali erano, quindi, gli aspetti organizzativi e gestionali dell’organizzazione?

G.: Si tratta di un percorso lungo. II lavoro iniziava a metà gennaio con il reperimento delle strutture da utilizzare. Dopo una prima cernita delle offerte pervenute, si redigeva una lista degli alberghi, che, per prezzo, disponibilità del periodo e situazione logistica, potevano risultare idonei alle nostre necessità. Per gli alberghi che dovevano ospitare utenti con gravi problemi motori si cercava, compatibilmente con le possibilità offerte dalla ASL, di effettuare sopralluoghi per verificare le condizioni di agibilità, visto che non sempre è facile ricavarle con certezza dalle informazioni fornite dagli albergatori.

Un altro punto fermo era scegliere alberghi inseriti nel normale circuito turistico e non strutture destinate esclusivamente al turismo di persone con disabilità.

Parallelamente all’attività di individuazione delle strutture, iniziava il lavoro sui gruppi. A questo scopo l’Equipe dell’Unità Operativa definiva i gruppi in base a criteri che tenevano conto, nell’ordine, dell’omogeneità della disabilità degli utenti che li formavano, delle opportunità terapeutiche per ciascun utente, delle loro richieste e interessi e delle esigenze delle loro famiglie. Lo scopo era fare in modo che il gruppo potesse offrire al singolo le migliori opportunità per potenziare la propria autonomia e capacità di socializzazione. In questa attività è fondamentale, lo sottolineo, conoscere esattamente le necessità dell’utenza per riuscire ad offrire un servizio migliore.

L’ultima fase organizzativa era quella che si occupava della selezione delle cooperative che si occupano dell’assistenza agli utenti durante il soggiorno e, infine, l’individuazione dei responsabili di riferimento per ciascuno dei turni in cui erano suddivisi i soggiorni.

Per i soggiorni erano soprattutto le cooperative sociali di tipo A, che si occupavano di assistenza domiciliare, quelle maggiormente utilizzate. Inoltre, ove possibile, si privilegiavano quelle cooperative i cui operatori già conoscevano gli utenti e, soprattutto, gli stessi operatori assistenti domiciliari nei casi in cui le esigenze degli utenti erano più complesse. Contemporaneamente, si individuavano i responsabili dei gruppi tra gli operatori dei Servizi per disabili e dello SMI della Asl. Anche qui, preferibilmente, si affidavano i gruppi ad operatori che conoscevano gli utenti e avevano già esperienza nel ruolo.

Fatto questo, erano disponibili tutti gli elementi per elaborare il bilancio definitivo e si passava alla formazione di tutti gli atti amministrativi necessari per far partire i gruppi.

Infine, veniva elaborato un calendario d’incontri con gli utenti e le loro famiglie, prima del soggiorno, per comunicare le notizie essenziali per la partenza, e dopo il soggiorno per verificare l’andamento dei soggiorni da più punti di vista, ampliare le conoscenze sugli utenti e correggere eventuali errori organizzativi.

Se dal bilancio risultava un residuo del finanziamento, spesso si cercava di organizzare delle uscite di gruppo nel fine settimana, uno strumento utilissimo per avviare ai soggiorni i nuovi utenti e per l’impostazione e la verifica del funzionamento dei nuovi gruppi.

S.: Questo sul piano organizzativo e gestionale. E su quello degli aspetti terapeutici e riabilitativi?

G.: Sempre in sintesi, fondamentalmente possiamo distinguere, in base alle caratteristiche dell’intervento, due tipologie di soggiorno, quello terapeutico-riabilitativo e quello assistenziale.

S.: Due ambiti di intervento e due tipologie di soggiorno. Cerchiamo di capirne le differenze: può descriverci il soggiorno terapeutico-riabilitativo?

 

G.: Questo tipo di soggiorno si rivolgeva specificamente a quella utenza che non ha una grossa capacità di rappresentare ed elaborare i propri conflitti e disagi, sia per difficoltà di verbalizzazione, sia perché invischiati in una dinamica familiare di tipo complessa e/o a causa della loro disabilità, che non permette di utilizzare certe funzioni, nella fattispecie, insufficienza mentale: condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico, caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza, cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie e sociali.

Così, in un soggiorno dove si viveva tutta la giornata con gli utenti era possibile cogliere tutte le loro espressioni o manifestazioni di vita quotidiana. Quindi tutta la loro sintomatologia patologica viene ripetuta, però questa volta in una situazione priva della dinamica patogena del suo gruppo primario. Si permetteva al soggetto di ripetere tutta la gamma delle sue passate esperienze in una situazione controllata, dove il gruppo terapeutico, grazie alla propria reazione comprensiva e costruttiva e attraverso una decodificazione dei messaggi, poteva  trasformare questa “ripetizione” in una “riparazione“.

Le diverse attività che si svolgono nel soggiorno accentuano il carattere di realtà dell’esperienza che rafforza il sentimento di sé dell’utente, grazie alla fiducia che viene riposta nelle proprie capacità, e diminuisce il senso di colpa, a volte legato all’inerzia di una vita inutile.

Gli utenti che nella loro vita abituale vivono isolati ed esposti a pressioni che li spingono verso una dipendenza forzata, atteggiamenti anche interiorizzati, provavano nella nuova situazione un senso di liberazione.

Il gruppo operatori è un “tutto”, che rappresenta l’autorità con il quale si confrontano dialetticamente e deve essere capace, al contempo, di reggere attacchi distruttivi, di svolgere una buona funzione di rêverie e di permettere identificazioni positive. I singoli operatori, durante il soggiorno, possono avere anche dei compiti specifici come essere animatori di una o più attività. In ogni caso, devono rappresentare l’aspetto di realtà della situazione, in modo che gli utenti vengano posti di fronte al fatto che possa esistere un’alternativa a quella che di solito vivono.

In questo tipo di soggiorno le riunioni di gruppo degli operatori erano molto utili, affinché tutte le osservazioni, fatte nei diversi ambiti, vengano riportate al gruppo in modo da poterle discutere ed integrare. Inoltre, il momento di gruppo serve anche a far prendere coscienza e conoscenza di eventuali processi contro-transferali degli operatori.

In ultima analisi, il soggiorno terapeutico-riabilitativo risponde alle seguenti finalità: sviluppo autonomia, sviluppo di nuove abilità, crescita psicologica e sviluppo delle capacità relazionali.

Le strutture che si sono rivelate più adeguate per raggiungere questi obiettivi sono state individuate, nella maggior parte, in villaggi turistici o strutture che permettano una buona organizzazione delle attività e degli spostamenti.

S.: Ed il soggiorno assistenziale in cosa si differisce?

G.: Questo tipo di soggiorno rispondeva ad un bisogno di tipo più assistenziale, anche se non vanno trascurati gli aspetti riabilitativi connessi a questo tipo di intervento. Va tenuto più conto del bisogno dell’intero nucleo familiare e del periodo in cui si realizza.

Molto più che nel soggiorno terapeutico, va effettuato, se possibile, durante il periodo di ferie della famiglia perché dà la possibilità alla stessa di poter usufruire di un periodo di vacanza al di fuori del carico di lavoro di care giving, cui il congiunto con disabilità li sottopone durante l’anno. Al contrario del soggiorno terapeutico, l’assistenziale marca di più il diritto dell’utente ad avere un servizio. Le strutture devono avere delle caratteristiche più protette per permettere di controllare eventuali situazioni di difficoltà che si potrebbero presentare.

Un ruolo fondamentale in questo tipo di soggiorno lo aveva il responsabile del gruppo, in quanto, oltre alla responsabilità economica ed organizzativa, aveva anche una responsabilità “terapeutica”, intendendo, in questo termine, la gestione del gruppo affinché la coesione tra operatori ed utenti sia la più efficace ed efficiente possibile ed evitando che si verifichino attriti o scompensi.

S.: Tutto molto chiaro. Siamo certi che la descrizione approfondita e dall’interno di questi servizi offerti in cluster – amministrazione locale, servizio sanitario nazionale, terzo settore – alle persone con disabilità e alle loro famiglie risulterà molto utile ai nostri lettori per comprenderne a pieno l’utilità e la valenza sul piano dell’inclusione sociale e culturale. Ora lei è in pensione, ma qual è, dal suo punto di vista di esperto in questo settore, la sua valutazione complessiva dei soggiorni estivi rivolti alle persone con disabilità?

Sono del parere che, attualmente, i soggiorni estivi dovrebbero rappresentare ancora un momento importante delle attività del servizio pubblico per i disabili. Spero, però, che siano mantenute le linee guida che ho descritto, soprattutto, in considerazione della complessità di questo intervento. Mi auguro, infine, che si possa ancora usufruire dell’integrazione dei servizi tra i diversi soggetti attori coinvolti, utilissima sempre, ma anche indubbiamente necessaria, se non indispensabile, per questa attività.