Che fine ha fatto il sogno di Basaglia? “Pazienti intrappolati nel gioco dell’oca della cronicità”

Strutture pubbliche svuotate e soldi ai privati.

A cento anni dalla nascita di Franco Basaglia, si celebra l’uomo che rese l’Italia il primo – e finora unico – Paese al mondo a chiudere i manicomi, ma non c’è molto da festeggiare. I Centri di salute mentale (Csm) pubblici aperti h24 che il padre della legge 180 indicò come ingranaggio fondamentale di un’organizzazione alternativa agli ospedali psichiatrici, sono attivi in Friuli Venezia Giulia – dove la riforma psichiatrica iniziò già dagli anni Settanta – ma restano un sogno in quasi tutto il territorio nazionale. “Nella maggior parte delle regioni italiane sono presenti ambulatori psichiatrici aperti poche ore solo alcuni giorni alla settimana, oppure Csm non oltre le 12 ore per 5/6 giorni alla settimana“, dichiara Gisella Trincas, presidente di Unasam (Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale). “Il processo di impoverimento e accorpamento dei Dipartimenti di Salute Mentale, che va avanti da oltre un decennio, favorisce le residenze private, pagate dalle Asl, dove vengono messe e – a volte – abbandonate le persone che soffrono di disturbi mentale“. Si tratta di circa 2mila residenze con 30mila posti letto: un mondo variegato che va “da piccole comunità, a grandi cliniche fino alle Rsa – perché anche lì vengono messi i pazienti psichiatrici di 40-50 anni, alcune volte anche più giovani, in mancanza di alternative” spiega Trincas. Queste strutture “assorbono oltre 1/2 dei già insufficienti finanziamenti per la salute mentale” ha ricordato Fabrizio Starace, presidente della Siep (Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica) in apertura del Convegno “Oltre il posto letto” che si è tenuto a Bologna a novembre. Starace ha poi denunciato, in riferimento a queste realtà, “Il pericolo strisciante di adottare modalità neo istituzionalizzate“, come si può ascoltare nel podcastTutta colpa di Basaglia” prodotto da Piano P e disponibile su tutte le piattaforme gratuite.

Imprenditori della follia egioco dell’oca” della cronicità.  La permanenza in comunità terapeutica può essere preziosa quando è di breve durata, ma diventa drammatica quando l’uscita viene posticipata a tempo indefinito: “Alcune persone che hanno vissuto per 10 o 20 anni in strutture residenziali psichiatriche arrivano a chiederci il permesso di prendere un bicchiere d’acqua“, racconta Massimo Magnano, volontario di Sant’Egidio e medico della Asl Roma 4 che coordina un progetto per riportare le persone con disagio psichico a vivere in appartamenti integrati nella città. Si tratta di persone che sono rimaste intrappolate in quello che Piero Cipriano, psichiatra in un Spdc (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) di un ospedale romano, autore di diversi libri sull’argomento, definisce “gioco dell’oca della cronicità“: “La casella zero è l’Spdc, dove si fanno due settimane di stemperamento della crisi, poi si va in una di queste residenze per alcuni mesi (quando non diventano anni), poi si torna a casa, si va al centro di salute mentale a prendere i farmaci, magari si frequenta un centro diurno – dove si fanno prevalentemente lavoretti da vendere ai mercatini e altre cose infantilizzanti – quindi si ha una nuova crisi, si torna in Spdc, di nuovo in residenza, e così via”. Cipriano sottolinea come il Lazio sia “una delle regioni peggiori” in questo gioco per “La presenza storica di cliniche, degli ‘imprenditori della follia‘, come diceva Basaglia, case di cura private che sono le stesse ancora oggi, dopo 40-45 anni“. Cipriano si riferisce a una definizione coniata da Basaglia nel corso delle conferenze che tenne in Brasile nel 1979: “Ci sono cliniche private che vivono sui matti – disse lo psichiatra venezianopiù matti, più soldi. Così, invece di diminuire, il numero dei malati mentali aumenta, grazie a questi imprenditori della follia.

Fonte: ilfattoquotidiano.it, 10 marzo 2024, Ludovica Jona