Attenzione alle nomine di disability & inclusion manager!

“Non è un caso – scrive Silvia Assennato – che Enti Pubblici e aziende (pubbliche e private) nominino un disability & inclusion manager, importante e strategica figura professionale, senza seguire le indicazioni nazionali e internazionali in materia, ovvero non prevedendo un compenso per i servizi resi, non richiedendo una formazione universitaria specifica, né una documentata esperienza lavorativa in materia. Anzi, il recente caso di Genova dimostra come Enti Pubblici e aziende credono di poter agire infischiandosi completamente degli organi preposti a tutelare l’esercizio di tale professione“.

Il recente bando emanato dalla Città Metropolitana di Genova per Manifestazione di interesse per la nomina a Disability Manager (Protocollo n. 3609/2024), a cui è seguita la nomina (n. 15/2024 del Registro degli atti del Sindaco Metropolitano), senza che a nulla sia servito il tempestivo intervento di AIDIMA (Associazione Italiana Disability Manager) e SIDIMA (Società Italiana Disability Manager), di concerto con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MISE), accende la luce su un fenomeno pericolosamente più esteso di quanto si pensi.

Una specifica legge che regolamenti le prerogative per accedere ed esercitare la professione di disability & inclusion manager, evitando l’attuale deregulation e garantendo le indispensabili qualità professionali, sono stati definiti, dagli Enti Istituzionali Preposti, dei requisiti minimi per il conseguimento del titolo e l’esercizio di tale professione, come ad esempio il Manifesto del Disability & Inclusion Manager.

L’esercizio della professione del disability & inclusion manager al di fuori di tale perimetro – quindi parleremmo, in un simile frangente, di un esercizio che si configura essenzialmente come “abusivo” -, oltre a non garantire uno standard qualitativo minimo, annulla il valore culturale attribuito a tale professione con l’istituzione di appositi corsi universitari di specializzazione post laurea e crea le condizioni di concorrenza sleale tra chi ha conseguito il titolo e chi no.
Risulta quindi evidente, che le caratteristiche culturali, unitamente al percorso esperienziale in materia, di colui che viene inserito nella posizione di disability & inclusion manager, evidenziano, in modo inequivocabile, quanto un ente (o un’azienda) crede e quindi è disposto a investire nelle materie dell’inclusione e delle pari opportunità.

Preme inoltre ricordare che il disability & inclusion manager è una professione che si costruisce e si esercita su professioni preesistenti (nel senso di già acquisite), come quelle di architetto, avvocato, ingegnere, medico, psicologo, tutto ciò a sottolineare che non tutti possono essere ammessi al conseguimento del titolo e, conseguentemente, a esercitare la professione stessa. In tale frangente, infatti, è anche allo studio l’istituzione, presso gli Ordini Professionali, di un appositoElenco Speciale” dei propri professionisti che abbiano conseguito anche questa professionalità.

Per quanto sopra verranno intraprese azioni di controllo e verifica presso aziende, sia pubbliche che private, ed Enti Pubblici, al fine di mappare il fenomenopremiare le buone prassi e scongiurare nomine fuori dal perimetro regolamentato, e anche – in conclusione – considerando che interventi poco o per nulla puntuali, ovvero selezioni svolte in assenza di specifica formazione ed esperienza, possono considerarsi non solo non risolutive, ma financo dannose, in rapporto tanto alla fattispecie sottoposta che alla figura del disability manager e alla sua specifica professionalità.

Fonte: Superando.it

Photo: Cattolicanews.it