Il peso economico del Terzo Settore in Italia

Il valore economico del terzo settore in Italia
Il valore economico del terzo settore in Italia

Un mondo frammentato ma con valori comuni alla base

Il peso economico del Terzo Settore in Italia va nella direzione dello sviluppo, dell’innovazione e dell’occupazione. È quanto emerge dal testo della Riforma recentemente approvata dal Senato, in questi giorni all’esame della Camera, che va a toccare aspetti giuridici, finanziari e fiscali di un mondo molto frammentato, che ha al suo interno realtà diverse per struttura organizzativa tra fondazioni e cooperative sociali, associazioni riconosciute e non riconosciute, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, società di mutuo soccorso, imprese sociali, onlus. Negli ultimi anni si sono affacciate nel panorama economico anche altre realtà che uniscono innovazione e vocazione sociale. Sono le Siavs (startup innovative a vocazione sociale), per le quali è possibile accedere all’iter di riconoscimento semplificato previsto dal Ministero dello Sviluppo Economico. In comune con i soggetti tradizionali del terzo settore,  hanno la finalità, cioè la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale o d’interesse generale, l’assenza di scopo di lucro, che si traduce nell’obbligo di reinvestire gli utili nelle attività istituzionali, e la natura giuridica privata.

Alcuni numeri sul Terzo Settore

Il mondo del non profit, è noto, ha un bel peso economico. In Italia, secondo l’ultima ricerca Istat che risale al 2011, il Terzo settore ha quasi 5 milioni di volontari, 681.000 addetti, 270.000 lavoratori esterni e 5.000 lavoratori temporanei, oltre 300.000 istituzioni censite e un giro d’affari di circa 64 miliardi di euro. Tra le novità più importanti del testo della riforma, da cui è più evidente il nuovo orientamento verso la sostenibilità economica, ci sono quelle relative alle imprese sociali. Queste vengono definite come imprese private con finalità di interesse generale, aventi come proprio obiettivo primario la realizzazione di impatti sociali positivi conseguiti mediante la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale, che destinano i propri utili prevalentemente al raggiungimento di obiettivi sociali e che adottano modelli di gestione responsabili, trasparenti e che favoriscono il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e de i soggetti interessati alle sue attività. Con questa nuova riforma le imprese sociali potranno accedere a forme di raccolta di capitali di rischio tramite portali telematici (crowdfunding), come è previsto per le startup innovative, avranno la facoltà di distribuire utili, potranno nominare nei propri consigli di amministrazione imprese private e amministrazioni pubbliche e uno o più sindaci all’interno degli organi di controllo.