Un film sulle reti sociali che curano

Reti sociali che curano

 

di Maria Antonietta Mastrangelo

“La città che cura”: in questo film le reti sociali non lasciano sole le persone con difficoltà. Erika Rossi, autrice del film sul rivoluzionario progetto di salute pubblica in corso a Trieste, spiega il progetto “Microaree”, per comprendere l’eccezionalità dell’esperienza attraverso la proiezione del suo film: la persona sola ha la possibilità di fare riferimento a una rete sociale.
Come dovrebbero funzionare le reti sociali rappresentata in un film
Trieste, la città di Basaglia, è sempre stata la culla di un nuovo modo di intendere la salute. Non poteva che nascere qui “Microaeree”, un progetto rivoluzionario, unico in Europa, che interviene sul territorio, per influire positivamente sulla salute delle persone. La storia di questa esperienza sul campo è stata narrata attraverso la realizzazione di un film intitolato: “La città che cura”.
Il film in questione di Erika Rossi distribuito da “Lo scrittoio” e “Tico Film”, racconta la storia di questa esperienza unica, che possiamo chiamare medicina territoriale, o medicina di comunità.
La regista spiega che: “Questo progetto è applicato solo a Trieste, i creatori sono gli eredi di Basaglia: l’idea è allargare il concetto di salute alla vita stessa della persona, al di là dei suoi problemi di salute, e considerarla come una persona a tutto tondo, nelle sue problematiche più ampie e nella sua rete sociale. Perché la salute è anche il risultato dello stato delle relazioni sociali di cui la persona dispone. L’eccellenza di questo progetto di salute sul territorio è che dà alla persona che è sola, la possibilità di fare riferimento a una rete sociale: la presenza dell’istituzione all’interno del territorio, in spazi che diventano punti di riferimento, può essere un aiuto non solo per una visita medica, ma per qualsiasi problema che la persona abbia, anche solo quello di essere solo”.
La persona al centro dunque, non solo quella con bisogni speciali, ma anche qualsiasi persona abbia bisogno, perché sola, di aiuto, di compagnia, come umanamente giusto, di non sentirsi ai margini, bensì accolta con amore.
Erika Rossi tiene a farci capire quale sia l’eccezionalità del progetto. A tal proposito: “È proprio l’azienda sanitaria locale che crea questo servizio, non sono delle singole associazioni”, spiega. “È un progetto di governance, in coordinamento con il Comune di Trieste e l’ente per l’edilizia popolare, l’Ater. Non esiste da nessuna altra parte al mondo un’istituzione che crei un progetto così coordinato all’interno del territorio”.
Il progetto “Microaree” è stato messo a punto nel 1998, ma ha preso forma nel 2005. Ogni Microarea copre una popolazione che varia tra i 2000 e i 2500 abitanti. Attualmente ci sono 18 sedi a Trieste che coprono altrettanti quartieri.
Per raccontare il progetto la regista ha scelto il punto di vista di Monica, una delle referenti del progetto Microaree a Ponziana e accanto a lei quello di tre anziani, Plinio, Roberto e Maurizio.  Nel film Monica gira per il quartiere, conosce tutti, raggiunge le persone nelle loro abitazioni.
E’ un rapporto umano e proprio per questo la donna sa come ascoltarle, e sa come parlare con loro.  Il film descrive Monica, come referente di Microarea che ha una formazione sociologica, ma molto corposa, ci spiega la regista. “Quasi tutti i ragazzi del gruppo hanno una formazione di questo tipo, altri vengono da un percorso infermieristico, ma hanno fatto un’ulteriore formazione per comprendere la visione allargata, sociale del progetto”.
Si tratta quindi di persone con un elevato grado di professionalizzazione, ma a risaltare sono soprattutto un’empatia e un’umanità che spesso non associamo al settore della sanità. Un approccio basagliano alla salute, dunque commenta Erika Rossi.
La regista precisa che: “È proprio la concezione basagliana che risveglia la capacità empatica, è quella formazione che ti fa capire che la persona non è il suo problema di salute, che tu non sei importante perché le fornirai una prestazione ambulatoriale, ma perché sarai una persona davanti a quella persona”.
Monica e gli altri referenti, hanno un ruolo importantissimo perché assicurano una continuità: sono sempre dentro la storia di una persona, non solo nel momento in cui ha bisogno, quello del ricovero.
In questo modo, la rendono parte di una comunità. È proprio questo che emerge con forza  da “La città che cura”. La persona con i suoi sentimenti è al centro di tutto e il rapporto umano ne è la sua massima espressione.
È un film che dovrebbero vedere tutti, ma soprattutto i cosiddetti decisori, gli operatori della sanità e i politici, poiché indica una strada che può davvero portare al bene delle persone. A tal proposito i dati dicono che si è notata una diminuzione importante del numero di ricoveri dove sono presenti le Microaree.
Il modello “Microaree” è attivo sul territorio da più di dieci anni e ad oggi non è riuscita a comunicare il progetto in modo sufficientemente forte ed efficace per uscire dal suo ambito”, spiega la regista. “Il tour del film va di pari passo alla presentazione del libro omonimo proprio per creare dibattito su questo modello. Nelle città dove verranno presentati si cercherà di andare a raggiungere quella rete associativa e quelle istituzioni, che possono avere interesse a conoscere meglio il progetto e capire quanto possa essere importante per qualsiasi territorio”.

Fonte Redattore Sociale