Disabilità e periferia: una riflessione sulla città inclusiva

 

L’Enciclopedia Treccani definisce la periferia come “contorno, bordo, orlo circolare”. O  per estensione: la parte estrema e più marginale, contrapposta al centro, di uno spazio fisico o di un territorio più o meno ampio, e in particolare “l’insieme dei quartieri di una città più lontani dal centro. Frequentemente la locuzione di periferia, oltre a indicare la collocazione nel tessuto urbano, aggiunge spesso una connotazione riduttiva, di squallore e desolazione.

Periferico, usato come aggettivo, può indicare anche argomenti, tematiche, interessi periferici agli interessi dominanti, a particolari condizioni sociali sulle quali si preferisce tacere perché scrivendone o parlandone, si renderebbe responsabile l’interlocutore. Per questo motivo Don Roberto Sardelli (Pontecorvo 1935 -2019) noto come “il prete dei baraccati” che alla fine degli anni Sessanta del Novecento fonda una scuola per i figli dei baraccati dell’Acquedotto Felice a Roma era solito dire ai bambini di “non tacere” ai maestri e agli altri genitori la loro condizione di marginali. E quale tema più di quello della disabilità, è maggiormente “periferico” nel dibattito pubblico?Sembra che ancora nel 2023 dei cittadini con disabilità siano abili a parlare solo i diretti interessati, le famiglie, le  associazioni o Ministeri creati ad hoc (sic!).Nel nostro Paese – dati aggiornati a prima della pandemia nel 2019-  le persone con disabilità –ovvero che soffrono a causa di problemi di salute, di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere attività abituali –sono 3 milioni e 150 mila (il 5,2% della popolazione secondo il sito disabili.com).

Gli anziani sono i più colpiti: quasi 1 milione e mezzo di ultrasettantacinquenni (il 22% della popolazione in quella fascia di età) si trovano in condizione di disabilità e 1 milione di essi sono donne.

La “geografia della disabilità” vede al primo posto le Isole, con una prevalenza del 6,5%,contro il 4,5% del Nordovest. Le Regioni nelle quali il fenomeno è più diffuso sono l’Umbria e la Sardegna (rispettivamente, il 6,9% e il 7,9% della popolazione). Lombardia e Trentino Alto Adige sono, invece, le Regioni con la prevalenza più bassa: il4,1% e 3,8% rispettivamente.

Il 29% delle persone con disabilità vive sola, il 27,4% con il coniuge, il 16,2% con il coniuge e i figli, il 7,4% con i figli e senza coniuge, circa il 9% con uno o entrambi i genitori, il restante 11%circa vive in altre tipologie di nucleo familiare. Un aspetto rilevante per le condizioni di vita degli anziani è costituito dalla tipologia di limitazioni funzionali e dal livello di riduzione dell’autonomia personale a provvedere alla cura di sé (lavarsi, vestirsi, mangiare da soli, ecc.) o a svolgere le attività domestiche quotidiane (preparare i pasti, fare la spesa, usare il telefono, prendere le medicine, ecc.)3.

Nella popolazione di 15 anni e più

– il 2% ha gravi limitazioni nella vista,

-il 4,1% nell’udito

– il 7,2% nel camminare

La capacità di spostarsi liberamente è molto limitata tra le persone con disabilità. I dati sulla mobilità, relativi al 2019, mostrano che solo il 14,4% delle persone con disabilità si sposta con mezzi pubblici urbani, contro il 25,5% del resto della popolazione. Tali differenze variano molto con l’età. Tra gli individui di età compresa tra i 15 e i 44 anni, utilizza il trasporto urbano il 26,3% di coloro che soffrono di limitazioni e il 29,6% di coloro che non ne soffrono; se si considerano gli ultrasettantacinquenni le corrispondenti percentuali sono 7,2%e 24,6%. Nel caso dell’utilizzo del treno, le differenze sono ancora più marcate.

Cosa succede quando disabilità e “periferia” si incontrano?Il più delle volte, per restare a Roma, non si tratta di incontri romantici o allegri.Secondo l’Ater di Roma, l’ente regionale che gestisce buona parte degli alloggi popolari della capitale, circa la metà degli appartamenti di sua proprietà è senza ascensore: 23.121 su un totale di circa 46mila (dato di aprile 2022).La cifra è rilevante se si pensa che le famiglie residenti nelle case popolari di Roma che hanno dichiarato di avere almeno una persona con disabilità nel proprio nucleo sono circa il 12 per cento, mentre l’incidenza di persone con disabilità all’interno della popolazione italiana è del 5,2 per cento (Istat 2019).Sarebbe stato bellissimo se almeno una parte dei fondi del tanto sbandierato PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e quelli del Superbonus fossero stati utilizzati per restituire condizioni di vita dignitose a queste persone per le quali la dignità passa eccome anche attraverso un ascensore.Abbiamo tuttavia le “giornate”. Dal 2003 esiste la Giornata nazionale per l’abbattimento delle barriere architettoniche. L’eliminazione delle barriere architettoniche è stata affrontata da molte leggi italiane: quella relativa agli edifici pubblici risale al 1979; quella per i privati è di dieci anni dopo, mentre dal 1992 i comuni sono obbligati ad adottare Piani per l’eliminazione delle barriere architettoniche (Peba) negli spazi urbani: percorsi accessibili, semafori acustici, rimozione della segnaletica ingombrante, rampe.Nel territorio della Regione Lazio nel marzo del 2022 meno di dieci comuni su 378 l’avevano approvato. Circa il 2,5 per cento del totale.Le barriere non sono solo architettoniche, esistono anche quelle intellettive e cognitive, quelle culturali e sociali, legate per esempio alla lingua o alla religione, quelle economiche.Le periferie delle nostre città, soprattutto Roma, portano i segni delle disuguaglianze sociali impresse nella viabilità caotica frutto di uso scellerato del suolo, devastazione del verde o – per andare lontani nel tempo – col piano regolatore del 1931 di Marcello Piacentini (siamo durante il fascismo) che allontana i ceti popolari dal centro storico per disseminarli nelle borgate ufficiali all’epoca lontane da ogni tipo di servizio (parliamo di Primavalle, Borgata Gordiani, Pietralata, Tufello, Tormarancia, Trullo, San Basilio, Quarticciolo ecc.)- di vere e proprie deportazioni. Oggi, in realtà da decenni, parliamo di accessibilità: ma questa va intesa come sinonimo di vitalità urbana perché garantisce a ogni persona un ruolo nello spazio pubblico, non soltanto alla persona con disabilità.E’ sempre bene ribadire ai decisori pubblici che “accessibilità” non è legata a “disabilità”, ma deve riguardare politiche integrate che migliorino il funzionamento urbano, rendendo la città più inclusiva.